Fuga-e-Approdi-SalinaDocFest

31″La piazza dei destini incrociati” la chiamò Ciro, parafrasando Calvino. Era, quella, la piazza Sant’Ambrogio, della famosa basilica, “l fuori di mano”, come scrisse Giusti, dove s’affacciava l’Università Cattolica di padre Gemelli, la caserma della Celere, del ministro Scelba, e il COI, il Centro Orientamento Immigrati.

Era l’inizio degli anni Cinquanta e Ciro abitava in quella piazza, nella pensione della signorina Colombo, giunto a Milano dalla Sicilia per frequentare l’Università Cattolica. Erano suoi compagni di corso o più avanti negli studi, alcuni meridionali che poi sarebbero divenuti eminenti uomini politici, presidenti del Consiglio e ministri della Democrazia Cristiana al potere.

Ciro attraversava quella piazza dalla mattina alla sera e gli capitava di fermarsi ad osservare quasi ogni giorno due realtà diverse e divergenti. Da una parte, tram senza numero, che giungevano dalla stazione centrale e scaricavano davanti al COI masse e masse di emigranti che giungevano dal Meridione, dalla Sicilia soprattutto: erano contadini, braccianti, zolfatari.

Al COI, venivano sottoposti a controlli, visite mediche e quindi spediti nelle fabbriche d’Europa o nelle miniere di carbone del Belgio, come quella di Marcinelle, dove vi fu la famosa esplosione e dove morirono molti immigrati siciliani. Dall’altra parte, vedeva schierarsi davanti alla Celere plotoni di poliziotti, col manganello alla vita, che andavano a fronteggiare gli operai della Pirelli o dell’Alfa Romeo che scioperavano. Agli studentelli privilegiati della Cattolica poteva allora capitare di incontrare in quella piazza il poliziotto o l’emigrante compaesano.

A Ciro capitò d’incontrare Giacomino, suo compaesano e compagno di giochi, e di incontrare Peppe Scavone, contadino della Contrada Fiorita del suo paese, che emigrava in Svizzera. Era quello il momento della fine del mondo contadino, del fallimento della riforma agraria in Sicilia, della vittoria dei feudatari, eterni Gattopardi, e dei loro sovrastanti o gabelloti mafiosi. Era il momento quello che Pasolini poi chiamò della “mutazione antropologica” di questo nostro Paese.

Ciro, laureatosi in giurisprudenza, tornò in Sicilia e, per occultare la sua passione per la letteratura e la sua voglia di scrivere, scrivere romanzi (a Milano con grande emozione aveva visto e ascoltato parecchi famosi scrittori, da Bacchelli a Vittorini, a Piovene) per occultare la sua passione letteraria alla famiglia, aveva deciso, come alibi, di far pratica notarile. Ed era andato alle Eolie, a far questa pratica, presso un notaio che abitava a Lipari, ma che aveva la sua sede notarile nel comune di Santa Marina di Salina.

Andavano allora, il notaio e Ciro, col vaporetto a Salina, s’installavano nello studio, e arrivavano da ogni parte dell’isola, contadini e pescatori, che facevano contratti di vendita, e Ciro scriveva, scriveva sotto dettatura del notaio. Quegli isolani vendevano tutto, terreni, attrezzi di lavoro, casa, barche da pesca, vendevano perché dovevano emigrare, soprattutto in Australia.

Era quello il tempo della grande emigrazione da tutte le isole Eolie. E andavano anche, il notaio e Ciro, a stendere contratti a domicilio, testamenti soprattutto, di vecchi che volevano lasciare i loro miseri beni agli eredi. Andavano allora su una bicicletta a motore, per riviere coperte da strati di sale e sentieri di campagna.

E a Ciro, qualche anno dopo, capitò d’incontrare a Lipari un sociologo australiano che era venuto alle Eolie a studiare i luoghi di origine di tutti quegli emigrati isolani che in Australia, avevano trovato il loro approdo di speranza. Ma Ciro non sa, non ha mai saputo, se quel sociologo ha scritto della grande beffa che quegli emigranti avevano subito: la beffa del grande miracolo turistico che le Eolie aveva investito, miracolo che aveva fatto lievitare il valore della loro casetta con i pilieri e la pergola, il loro fazzoletto di terra. Miracolo turistico, nell’Eolie, forse dopo che i due famosi film erano stati girati, Stromboli e Vulcano, con le due dive antagoniste Ingrid Bergman e Anna Magnani.

E, a proposito di quest’ultima attrice, della sublime Magnani, a Ciro capitò un incontro indimenticabile. Andava Ciro, in un caldo primo pomeriggio d’estate, girovagando solitario su per la Civita di Lipari, accaldato e stanco, s’era disteso su uno di quei sarcofagi disposti in cerchio sullo spiazzo del museo. Passa di l la furente, la Magnani, e fa, con quella voce un po’ roca: “Che fai pischello, fai il morto? Ne hai di tempo!” . Ciro salta giù e si trova davanti la diva. Rimane paralizzato, non riesce a profferire parola. L’Anna (Perenna) fa una sonora risata e via, procede per la sua strada.

Toccherà poi a Ciro emigrare, ma non in Australia, in Belgio o in Germania, ma solo a Milano. E Ciro, abbandonato l’alibi del notariato, aveva preso a scrivere romanzi, ma a scrivere anche su giornali, settimanali e quotidiani, dei cavatori di pomice di Lipari e della loro silicosi, a scrivere degli emigrati meridionali in Lombardia e in Piemonte, delle comunità siciliane di Pioltello Limito o di Sesto San Giovanni.

Poi dopo anni, scrisse di altre emigrazioni, dal cosiddetto terzo mondo, dal Maghreb e dall’Africa nel nostro Paese, delle tragedie quotidiane di poveri esseri umani annegati nel Canale di Sicilia. Della tragedia di questo nostro tempo.

Vincenzo Consolo, Sant’Agata di Militello, 31 agosto 2008