Beniamino Barrese, vincitore del Tasca d'Ora al SDF 2019

La scomparsa di mia madre di Beniamino Barrese è il vincitore del Tasca d’Oro, il premio al miglior documentario in concorso al SalinaDocFest. E’ stato scelto dalla giuria composta da Claudio Giovannesi, Nicolas Philibert e Francesco Zizola. Ed è anche il lavoro ritenuto meritevole della Menzione speciale WIF – Women in Film, attribuita dalla giuria composta da Kissy Dugan, Presidente di WIF, dall’attrice Valentina Carnelutti e dalla regista Antonietta De Lillo. Il Premio Signum del pubblico è andato a Freedom Fields della regista anglo-libica Naziha Arebi.

Ecco la motivazione della giuria del Tasca d’Oro:

Truffaut diceva che i film respirano grazie ai loro difetti. Il film che abbiamo deciso di premiare ne è un bell’esempio, e ci ha profondamente toccato. È un film che si pone domande sulle immagini e si interroga sull’identità e sulla memoria.

Questa edizione del SDF è dedicata al tema della resistenza, e noi pensiamo – spiegano i giurati – che il cinema dovrebbe resistere al mondo nel quale viviamo dove tutto deve essere visibile. Il cinema dovrebbe mostrare e nascondere per poter costruire il nostro sguardo.

Noi abbiamo deciso, all’unanimità, di dare il premio a La scomparsa di mia madre di Beniamino Barrese, che si interroga sull’immagine della donna nella nostra società e che ci invita ad assistere a un doppio conflitto: quello tra il cineasta e la protagonista della storia (sua madre), e allo stesso tempo l’ambiguità di una donna che vuole essere filmata e contemporaneamente vuole negare l’accesso alla propria immagine”.

Un’immagine da “La scomparsa di mia madre” di Beniamino Barrese

Questa la motivazione della Menzione speciale WIF – Women in Film:

Un film che è un corpo a corpo tra madre e figlio, tra autore e soggetto, che si denudano in un generoso e raffinato atto d’amore. È un confronto vitale, che tratteggia il ritratto di una donna non ideologica ma istintivamente emancipata, che combatte le convenzioni rinnovando l’estremo e doloroso tentativo di sottrarsi all’ambiguità imperante. Una donna, e madre, che non fa sconti né a se stessa né alla realtà, come l’autore, suo figlio, che ci conferma insieme a lei, che la bellezza non è nel valore estetico ma nel principio etico.

In una battaglia tra la volontà di darsi e la necessità di separarsi, i protagonisti costruiscono un dialogo intimo e urgente sulla sopraffazione dell’immagine sulla memoria, e sulla vita stessa, in un film la cui forma, ricca di espedienti narrativi insoliti e sorprendenti, coincide in modo efficace e coraggioso con il suo contenuto più profondo”.