Nahal-Tajadod-Golshifeth-Farahani

Premio Dal Testo allo Schermo a Nahal Tajadod per L’attrice di Teheran

Nata a Teheran in una famiglia di intellettuali nel 1960, Nahal Tajadod si trasferisce in Francia nel 1977, appena tre anni prima dello scoppio della rivoluzione islamica e della fine del regno dello Scià. Studia cinese e religioni orientali all’Istituto Nazionale di Lingua e Civiltà Orientali di Parigi, dove scrive una tesi di dottorato su Mani, il fondatore della religione manicheista, cui dedica anche diversi saggi.

La sua attività di saggista e studiosa è rivolta anche al buddismo, alla storia del cristianesimo in Iran e al poeta persiano Rumi, di cui scrive delle immaginarie biografie (Roumi le brûlé, 2004, e Sur les pas de Rûmi, 2013) e dei cui canti cura l’edizione francese insieme al marito, lo scrittore e sceneggiatore Jean-Claude Carrière, collaboratore abituale di Luis Buňuel. Sempre con lui traduce in francese anche le due raccolte di poesie del regista iraniano Abbas Kiarostami: Avec le vent e Un loup aux aguets

Nel 2007, anno in cui esce Passaporto all’iraniana, riceve la Grande médaille de la francophonie. Pubblicato anche in Italia, il romanzo racconta un’altra vicenda autobiografica, incentrata sulla autrice che deve tornare in Iran dalla Francia per rinnovare il passaporto.

Il suo passaggio attraverso l’astrusa e ottusa burocrazia della Repubblica Islamica scopre ancora una volta la condizione di un paese diviso tra una severissima teocrazia e le spinte laiche e riformiste della società urbana e delle élite.

L’attrice di Teheran

L'attrice di TeheranNahal Tajadod mette a confronto le vite di due donne iraniane – se stessa e Golshifeth Farahani, attrice di grande successo – figlie di due contraddizioni speculari.

Da un lato c’è l’occidentalizzazione, la separazione tra religione e Stato della società islamica che era proprio dell’Iran ai tempi dello Scià, ma che si svolgeva all’interno di un regime autoritario, quello in cui l’autrice è cresciuta; dall’altro la rigorosa legge islamica dell’Iran di oggi, l’unico che ha conosciuto Sheyda, nome d’arte di Farahani nel libro.

In un paese in cui è vietata la musica, la danza e in generale quasi ogni forma di espressione culturale e non, la protagonista, figlia di artisti, non ha mai avuto vita facile. La ragazza racconta alcuni episodi della propria infanzia, di quando da piccola si travestiva da maschio per poter girare liberamente, e di quando, da adulta, la sua carriera da attrice fa si che sia spesso bersaglio della macchina repressiva gestita dai Guardiani della Rivoluzione.

Al punto che, al ritorno da Hollywood, dove si era recata per interpretare un ruolo in un film, viene brutalmente interrogata per mesi perché creduta una spia della CIA, e infine bandita dall’Iran. Come racconta la stessa Tajadod, quello fra lei e la sua protagonista Sheyda è un incontro paradossale, in cui la più anziana delle due si trova a parlare con una giovane donna i cui ricordi potrebbero essere gli stessi di sua nonna, e dipingono un Iran che per l’autrice era quello del passato, fatto di donne velate e severe regole religiose, un gioco di specchi che concorre a definire il ritratto di due donne decise ad affermare la propria identità, il proprio talento, e a vivere la complessa evoluzione di un paese pieno di contraddizioni e di grande ricchezza culturale.

Tajadod realizza con L’attrice di Teheran due efficaci ritratti umani, ma anche quello del terzo protagonista, l’Iran, con le sue contraddizioni, le sue voci nascoste e il suo cambiamento reso possibile da persone come Sheyda.