Sulle rotte donchisciottesche

Giovanna Taviani

Come nasce un Festival a largo di un’isola

Ho fondato il SalinaDocFest tredici anni fa, nel cuore delle Eolie, perché credevo, e credo, nella forza del documentario narrativo e in un turismo culturale destagionalizzato che contribuisse a salvare le isole dal loro isolamento. L’idea nacque nel 2006, sul ponte di una nave, durante un viaggio di ritorno dalle Eolie. Stavo lasciando l’isola di Salina, dove sono cresciuta e mi sono ri-conosciuta.

Salina-vista-ponte-nave

Lasciavo la Sicilia per tornare in “continente”, a Roma, la città in cui vivo. E come ogni anno, di fronte al faro di Lingua che si allontanava, provavo quella fitta di dolore che prende quando lasci la persona che ami. Rileggevo le pagine di Don Chisciotte, il cavaliere errante che si scopre libero solo quando viaggia, quando è in movimento. Quel Chisciotte che fu concepito proprio di fronte a questo mare, in un delirio tutto siciliano, da Miguel de Cervantes mentre era in convalescenza all’Ospedale Maggiore della città di Messina.

Un amico isolano, che mi aveva accompagnato al porto, mi aveva salutato così:

Non essere triste. Quando la nave supererà la punta di Milazzo non ci penserai più e noi torneremo ad essere invisibili, nella nostra solitudine isolana.

Ripensai alle parole di Gavino Ledda, il protagonista di Padre Padrone, quando alla fine del film si rivolge agli spettatori, mentre la macchina da presa panoramica verso la finestra a scoprire un paese desolato dell’entroterra sardo:

Ora la vedete così, la nostra Sardegna – diceva -, bella e con il sole. Ma tornateci in inverno, quando le piazze sono vuote e la solitudine cancella la nostra giovinezza.

Pensai al destino orgoglioso e battagliero di noi documentaristi, condannati, come gli isolani, all’invisibilità per la mancanza di una distribuzione nelle sale cinematografiche del nostro paese, cresciuti nella guerra dell’isolamento e della solitudine. Giorni prima, durante una cena con gli albergatori e i ristoratori del luogo, tutti amici d’infanzia che hanno intrapreso l’unica carriera possibile in un’isola, quella del turismo, avevamo fantasticato sotto l’effetto della malvasia di possibili futuri scenari per l’isola, che è così bella quando arriva Settembre, il mese delle vendemmie, ma che i turisti si ostinano a conoscere solo ad Agosto, il mese più caotico dell’anno.

Facciamo qualcosa che allunghi la stagione turistica a Settembre, ci eravamo detti, e in un momento tutto chisciottesco avevo preso la mia decisione: portare nell’isola che amo il lavoro che amo. Così decisi di mettere insieme il mio amore per il cinema e il mio amore per l’isola e di fare un Festival dedicato al documentario narrativo, per riaccendere le luci su un genere dimenticato – a Salina fu fondata la prima casa di produzione dedicata al documentario, la Panaria Film e a Stromboli De Seta girò il suo documentario più poetico, Isole di fuoco – e su un arcipelago che un tempo fu meta di grandi registi e film che hanno fatto la storia del cinema – Stromboli Terra di Dio, L’Avventura, Vulcano, Kaos, Caro Diario, Il Postino -, ma anche pellegrinaggio di molti scrittori viaggiatori.

Goethe definiva la Sicilia «un deserto di fecondità», con un ossimoro che rende bene la contraddittorietà delle nostre isole, bellissime e insieme terribili; Alexandre Dumas le ricorda nel suo Viaggio in Sicilia:

Bordeggiammo per una parte della giornata; avevamo il vento sempre contrario. Passammo poi in rivista Salina, Lipari e Vulcano scorgendo, ad ogni passaggio tra Lipari e Salina, lo Stromboli scrollare all’orizzonte il suo pennacchio di fiamme.

In tempi più recenti la scrittrice Lidia Ravera, ospite in giuria del SDF uno degli scorsi anni, omaggia così l’isola di Stromboli dove ha deciso di ritirarsi parte dell’anno:

È la lontananza, la chiave di questa ottusa felicità. Sono, finalmente, lontana. Da che cosa esattamente non lo so, ma mi pare che non abbia importanza. Dalla terraferma. Dalla città. Dalla realtà. Non lo so. Mi sento lontana e basta.

Che richiama molto da vicino la scritta che apparve improvvisamente a Salina, in attesa del nostro Festival, sulla vetrina del ristorante di un amico di vecchia data:

Cucina isolana. E orgogliosamente isolata. Da vent’anni.

“Isolani sì, Isolati no!” fu dal primo anno il nostro slogan e continua ad esserlo oggi, con il nostro impegno costante per l’incremento dei trasporti che collegano le isole al continente. Sin dal primo anno, quando aprimmo il festival con Roberto Saviano, che aveva appena pubblicato il suo Gomorra, la Direzione Cinema del Ministero dei Beni Culturali di Roma ci sostenne con curiosità e attenzione: aveva colto la nostra sfida per un turismo culturale e destagionalizzato che portasse il mondo sull’isola, attraverso la cultura, e aprisse nuovi spiragli ai giovani. Partimmo così come un esercito inesperto di Don Chisciotti, animati solo dalla passione e dalla febbre visionaria dell’eroe errante.

In 12 anni, sotto le ali protettive del nostro Comitato d’Onore, formato da Romano Luperini, da Paolo Taviani (fino a un anno fa anche da mio padre, Vittorio), Bruno Torri, Giorgio e Mario Palumbo Editori; grazie a una squadra di professionisti e il resto dello staff che lavora nell’ombra dietro al Festival tutto l’anno; grazie all’opera costante e all’impegno del Direttivo di Salina e dei Comuni che ci sostengono, a “Salina Isola Verde” albergatori e ai Sindaci di Malfa e Santa Marina siamo finalmente entrati nel calendario dei Grandi Eventi dell’Assessorato al Turismo della Regione Sicilia. Abbiamo ospitato registi come Gianfranco Rosi, Alina Marrazzi, Alice Rohrwacher, Vincenzo Marra, Stefano Savona, Leonardo Di Costanzo; abbiamo lanciato un grido di allarme per il Mediterraneo nell’anno delle primavere arabe; abbiamo dimostrato che, contrariamente a quel che si dice, con la cultura si mangia e che il profitto immateriale, in termini di immagine e di turismo, a volte paga più di quello materiale.

Oggi in Europa dici “Salina” e gli addetti ai lavori rispondono subito “SalinaDocFest”. All’inizio, certo, non è stato facile. Gli abitanti dell’isola erano gelosi della loro terra; a tratti diffidenti nei confronti di noi stranieri. Ma poco a poco il SalinaDocFest è entrato nel loro animo, fino a diventarne parte. Così un giorno approdai, come ogni estate, al molo di Santa Marina e fui accolta da un amico del porto, lo stesso che mi aveva salutato con malinconia qualche anno prima. Aveva sotto mano alcuni dvd che custodiva gelosamente: erano documentari che durante l’inverno si era procurato a Messina, perché ormai, grazie a noi e al SalinaDocFest, non riusciva più a farne a meno.

L’obiettivo era stato raggiunto. In questi anni la nave del SalinaDocFest ha riattraversato la storia del nostro paese, alla ricerca di un porto comune e in difesa di una comunità alternativa all’ordine esistente. Nonostante le tempeste e le avversità è andata sempre dritta superando intemperie e ostacoli, ha imbarcato amici, idee, pensieri (qualcuno invece è voluto scendere), senza avere mai paura di cambiare rotta; proprio come fa il documentarista, che per natura è aperto al mondo e all’ascolto degli altri.

Ogni anno siamo usciti da questa esperienza cambiati, scossi, diversi, a dimostrazione che il documentario è il più potente defibrillatore sociale di cui disponiamo oggi, una vera e propria arma in grado di risvegliare le coscienze e far aprire gli occhi su realtà invisibili, cancellate, rimosse o dimenticate.

Lo scorso anno, per la XII edizione svoltasi a settembre, che aveva come tema COMUNITÀ – una parola chiave in questo momento di crisi politica e istituzionale in Italia tanto che il Presidente della Repubblica ci ha costruito il suo discorso di fine anno in diretta sui canali Rai il 31 dicembre 2018 – e un omaggio a mio padre, siamo ripartiti come sempre dal racconto della realtà e da un’attenta disamina della nostra società. A Salina raccontiamo la realtà che le televisioni non raccontano più, attraverso il documentario narrativo. Perché come sosteniamo da sempre si può documentare la realtà raccontando delle storie.

Un giorno arriverà in cui il Mediterraneo tornerà ad essere quello che era un tempo e noi giovani non saremo più costretti a fuggire.

Lo dice una ragazza egiziana in un documentario dedicato al Post Tahrir delle Primavere arabe e che abbiamo presentato qualche anno fa. Lo ripetiamo anche noi da questa isola e con questo Festival. Un giorno arriverà in cui i giovani non saranno più costretti ad andar via dalla Sicilia. E ancora ricordo gli occhi asciutti di Vincenzo Consolo mentre mi narrava i motivi dolorosi che lo avevano spinto a lasciare il calore della sua terra per emigrare nella fredda Milano.

Un giorno arriverà in cui scrittori come Roberto Saviano o Nahal Tajadod o Assia Djebar potranno tornare a circolare a piedi nudi nella propria terra e a scrivere nella propria lingua. Quel giorno è già qui, e Palermo, capitale della cultura italiana che resiste, lo dimostra. Ripensiamo la Sicilia dal punto di vista del SUD, come in una cartina geografica ideale rovesciata.

A partire da Salina, l’isola che c’è e che non deve mai smettere di farci sognare. Nell’attesa di quel giorno, grazie Salina e grazie a tutti voi Giovanna Taviani

Il Manifesto

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